venerdì 1 dicembre 2017

Eugenio Montale: Ho sceso un milione di scale

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

(ap) Era molto miope, Drusilla Tanzi, scomparsa nel 1963, alla quale Eugenio Montale dedicò questa poesia che fa parte della raccolta "Satura", pubblicata nel 1971. Traendo spunto dalla forte miopia della moglie, il poeta ricorda le numerose volte nelle quali l’aveva aiutata a scendere le scale e così rimane sorpreso e stupito di fronte alle sensazioni che prova ora, al pensiero che la donna non c’è più.
In un dialogo interiore con se stesso e in un affettuoso colloquio a distanza con la moglie, gli torna alla mente “il lungo viaggio” percorso, immagine simbolica della vita trascorsa insieme e di ogni istante  vissuto l’uno accanto all’altra, in un’esperienza esistenziale lunga e profonda.
Ora, con la perdita della moglie,  il tempo presente rivela il “vuoto ad ogni gradino” di quelle scale discese mille volte, mostrando il dolore della perdita umana  e la sensazione dolente della brevità del viaggio.
Attraverso un linguaggio che tende alla prosa e in cui prevalgono temi personali e intimi, la vita è paragonata dunque ad un viaggio, percepito antiteticamente nella lunghezza e profondità del passato e nella brevità e caducità del tempo presente.
Il poeta, sopravvissuto alla moglie, continua da solo il viaggio. Molte cose sono cambiate. Le esperienze vissute e la stessa mancanza della moglie  lo portano a vivere in una condizione psicologica del tutto diversa, cioè nel distacco dagli affanni, dagli inciampi, dalle stesse delusioni della vita, in fondo nel disincanto di fronte alle “coincidenze”, alle “prenotazioni”, alle “trappole” che la pervadono.
Alla vita reale, egli non attribuisce più importanza, al contrario di quel che fanno coloro che credono che la realtà sia solamente "quella che si vede".
Il simbolismo pervade gli ultimi versi ancora dedicati agli occhi della moglie, ai quali è però attribuito un significato nuovo e sorprendente. Gli occhi della donna diventano espressione metaforica del suo sguardo spirituale sulle cose e sulle persone, della sua visione della vita.
La donna, che per la sua miopia vedeva le cose a stento e con fatica, sapeva invece scorgere cose profonde, intuire verità essenziali, ed era capace  di offrire generosamente al poeta una luce interiore che ne illuminava l’esistenza, rivelandone aspetti sconosciuti.
Quelle della moglie, pur così offuscate, erano le vere pupille del poeta, le più autentiche, con cui poteva avvertire percezioni nuove e scorgere angolazioni misteriose.
Così, trova sublime interpretazione il gesto del poeta di dare il braccio alla moglie miope per scendere le scale “milioni di volte”, occasione per lui non solo di aiutarla ma anche di trarre da lei ispirazione e consolazione, giacché egli sapeva che quelle della moglie erano “le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate".
L’amore per la moglie scomparsa si nutre di un sentimento di riconoscimento che diventa sensazione generale di gratitudine verso la figura femminile. Attraverso quelle rime, si manifesta, oltre all’amore per la moglie,  il tema lirico della donna vista come strumento di salvezza e come guida verso l’autenticità.
Lo sguardo che il maschile rivolge al femminile si arricchisce nel ‘900 di un’altra espressione straordinaria, nel solco della lirica dei poeti del dolce stil novo e soprattutto di Dante che, nel sonetto “Tanto gentile e tanto onesta pare”,  descrisse la sua Beatrice, come "cosa venuta / di cielo in terra a miracol mostrare".
In un’epoca, e in una poetica, qual è quella di Montale, che avverte l’inquietudine del “male di vivere”, e consiglia l’atteggiamento di “divina indifferenza”, si scorgono inaspettatamente gli echi di un tema lirico antichissimo.
Quello che racconta la donna come entità realmente esistita certamente, di cui cantare la dolcezza dello sguardo e la grazia, ma anche come sinonimo dell’indefinibile, creatura quasi celeste, riflesso dell'ansia di ascesi spirituale e di purificazione interiore, infine illuminazione dello spirito.

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