mercoledì 16 agosto 2017

Márquez, Cent'anni di Macondo


Il sogno che si trasforma in realtà: un luogo, una storia, un mondo sospeso tra immaginazione e concretezza


(ap) Non sarebbe bastato un sogno delirante per credere che un piccolo villaggio immaginario improvvisamente potesse diventare l’emblema di una condizione umana, tra storia e fantasia. Tanti ricordano con gratitudine il suo inventore ineguagliabile, Gabriel Garcìa Márquez
Si sono riconosciuti in molti nelle allusioni ispirate ad un mondo di fantasia, eppure così concreto, come Macondo. Luogo esotico, lussureggiante, crudo e irreale, dove ambientare diverse opere, a cominciare dal suo capolavoro.
Con Cent’anni di solitudine, Márquez ha scritto non solo il libro che gli è valso nel 1982 il Nobel per la letteratura e che lo ha reso noto in tutto il mondo. Ma una storia che non finisce di sorprendere, tra mito e realtà, allegoria e simbolismo.
La grottesca realtà di Macondo, ripercorsa attraverso le vicende della famiglia Buendía, è una sorta di percorso tra le ossessioni e le memorie, i sussulti e le malinconie di ogni epoca. Un microcosmo umano si muove tra eventi eterogenei, piccole avventure individuali e grandi accadimenti sociali, tessendo la propria trama.
Che è misteriosa e tragica, scandita dalla ripetitività del tempo, dal rinnovarsi delle storie. Pervasa da un tono drammatico, e decadente, in cui emerge la perenne nostalgia del passato, e si manifesta la tragedia di personaggi combattivi ma votati alla sconfitta.
Una dimensione che riflette verità e storia, esprimendo il sentire antico della propria terra, ma che conduce sempre ad atmosfere di sogno. Macondo offre una realtà travolgente per il lettore, persuaso sin dalle prime battute che quella dei Buendía sia un po’ anche la propria famiglia, pronto a confondere la propria vita con quella dei molti personaggi, e a smarrirsi nella loro lunga storia.
Eppure, lui Gabo, come lo chiamavano in tanti, non mancava, a distanza di anni e dopo tanto successo, di dirsi sorpreso e stupito che una magia così realistica fosse stata scritta da “un artigiano” come lui sentiva d’essere. Lui che “non si era ancora ripreso dalla sorpresa per tutto ciò che è accaduto”: “qualcosa scritto nella solitudine di una stanza, con ventotto lettere dell’alfabeto e due dita come intero arsenale”.

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