domenica 18 giugno 2017

Meno è meglio

Ragionare per sottrazione. Non solo privazione e perdita, ma ricerca delle radici, e della profondità delle cose. Un modo di coltivare l’essenziale

di Mariagrazia Passamano *

Tutto nasce dalla lettura di un libro appassionato, impegnato e rivoluzionario Geografia commossa dell’Italia interna del poeta e scrittore Franco Arminio. In particolare, il seguente passaggio: “Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, significa rallentare più che accelerare, significa dare valore, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza”.
La cultura capitalistica ci ha traghettati tutti verso la bulimia dell’addizione sistematica. Io sono se ho e sono molte cose se ho molte cose. Al di là dell’identificazione tra essere e avere, tra possedere ed essere ciò su cui vorrei soffermarmi è il tipo di meccanismo mentale del quale siamo schiavi e che è alla base della nostra storia recente.
È riscontrabile un marcato sovraffollamento delle idee, dei concetti, di oggetti materiali, di elementi ammassati nella nostra mente. Il dato inquietante è che a tale sovrabbondanza caotica corrisponda in maniera inversamente proporzionale uno svuotamento intellettuale e spirituale.
In questo contesto di atrofizzata ingordigia, di “crudele miseria di coloro che vivono non cercando altro che il piacere” (De profundis, Oscar Wilde) l’arte del sottrarre diviene ricerca del particolare, purificazione, sinonimo di analisi, di ritorno al desiderio e al culto della circostanza, di accentuazione del singolo elemento, che a seguito della separazione “assurge a divino”.
Ma cosa significa sottrarre?
Non meramente privare o togliere, ma trahere sub ovvero trarre di sotto, trascinare in basso. Il sottrarre implica un’actio ulteriore rispetto al mero privare. Chi sottrae, toglie e trascina altrove, ovvero conduce l’elemento dissociato ad una nuova identità, verso un nuovo significato. Un significato non superficiale perché è un sub trahere e cioè un trascinare sotto, più vicino al fondo, alla radice, alla profondità.
Ragionare per sottrazione richiama per certi versi il concetto aristotelico di deduzione (che coincide con la definizione di sillogismo).
Oggi la premessa maggiore è un accumulo di concetti e di elementi, e premessa minore diviene un’unità di tale sostanza ammassata e la conclusione il tentativo di ordinare il generale attraverso il particolare.
L’esercizio mentale del sottrarre può divenire arte in quanto tentativo di ordinare il generale attraverso il particolare, ovvero come sforzo finalizzato alla ricerca dell’elemento singolo, dell’irripetibilità del consumabile e dell’attenzione verso l’insostituibilità. È un processo di estrapolazione mentale. Significa non ammucchiare ma raccogliere con cura.
L’arte del sottrarre è sinonimo di asciugare, di tensione all’essenziale ed è studio della complessità. Consente di ritornare all’archè, alla radice delle cose e, a differenza della filosofia zen, ad essere eliminato non è il superfluo, bensì il singolo elemento che a seguito della separazione si eleva a frammento essenziale.
Scriveva Arthur Schopenhauer: “La vita d’ogni singolo, se la si guarda nel suo complesso, rilevandone solo i tratti significanti, è sempre invero una tragedia; ma, esaminata nei particolari, ha il carattere della commedia. Perché l’agitazione e il tormento della giornata, l’incessante ironia dell’attimo, il volere e il temere della settimana, gli accidenti sgradevoli d’ogni ora, per virtù del caso ognora intento a brutti tiri, sono vere scene da commedia”.
Oggi è questo di cui abbiamo bisogno: della tragedia che esaminata nei suoi dettagli diventa commedia. Della pausa, del silenzio per vagliare e sentire l’elemento unico, la singola e dissociata parte del tutto.
Togliere qualche minuto all’ossessione dell’efficienza significa concedere più anima alle proprie azioni, ai propri passi. Significa guardarsi intorno e non viaggiare come un treno ad alta velocità all’interno del quale il paesaggio ci appare come una lunga striscia senza intervalli di colore.
Bisogna imparare a recuperare la bellezza in quest’atto di salvezza degli elementi. Rendere eterno l’amore dei morti, sottraendolo all’incuria del tempo. Conservare i seni naturali, sottraendoli alla furia devastatrice dell’ ingordo demone dell’apparenza, affinché al tatto siano ancora in grado di trasmettere calore umano. Riconsegnare ogni singola azione alla semplicità ovvero “alla forma della verità”.
Siamo tutti pezzi di infinito dopotutto, sottratti e separati dal complesso ed è attraverso la nostra unicità che impariamo ad essere parte essenziale dell’universo.
Per poter davvero aggiungere bisogna imparare a sottrarre ovvero a trasferire all’essenzialità gli elementi parte del tutto. È in questa messa in pericolo delle cose che scopriamo il valore del recuperare. È nella mancanza che scopriamo l’essenzialità della presenza. Va reinventato il concetto di analisi inteso come scomposizione di un’unità di elementi costitutivi e di riappropriazione di singoli dettagli inconsci ed inesplorati.

* Scrive sul blog Invent(r)arsi:
https://mariagraziapassamano.wordpress.com

1 commento:

  1. Quando tu non hai niente, allora tu hai tutto.
    (Madre Teresa di Calcutta)

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